Oltre il fiume Tevere
Tanti pensieri, interrogativi, consapevolezze, nascono da un viaggio. Tanti artisti, poeti, pensatori hanno creato viaggiando.
L’esperimento poetico dell’artista brasiliana, Joana Corona, è un esempio tra quelli più recenti. Il suo prodotto artistico è frutto di un lungo soggiorno in Italia, in particolare a Roma.
È, infatti, sulle acque scorrevoli del Tevere che prendono forma i video, le fotografie e le riflessioni contenuti nella sua prima personale italiana: Per il letto del fiume (ciò che sfugge da me), tenutasi alla MuGa Multimedia (art) Gallery di Roma nel febbraio scorso.
La parola, l’immagine, la letteratura, la filosofia, sono i suoi campi di investigazione.
La mutevolezza di queste realtà, differenti ma allo stesso tempo concatenanti, stimola, interessa e un po’ tormenta l’animo riflessivo ed eclettico di quest’artista.
Joana Corona riesce a cogliere il senso di eternità che trattiene la Capitale, rimanendone affascinata, e lo contrappone allo scorrere e al rinnovarsi del fiume, il Tevere.
Metaforizza la sua riflessione attraverso un’operazione pratica che tiene al centro un oggetto profondamente simbolico, il libro, insieme all’attività che lo riguarda, la lettura.
Lo lascia andare sulle acque del Tevere, contemplando come il naufragare, con il tempo e con il suo andamento, trasformi, violi e risucchi le parole.
Con la fotografia cattura i movimenti, li intrappola amorevolmente.
Con il video documenta il loro susseguirsi.
Joana ritrae una Parola bella, poetica, musicale, ma ormai, o da sempre, fuggevole e, per questo, incapace di incarnare ed esprimere pienamente i sentimenti più duraturi e le percezioni più sottili dell’essere umano.
Probabilmente quest’incapacità della parola, di farsi rappresentante complementare ed attuale, è accentuata dallo scorrere del tempo, che la altera, e dall’abuso, che la priva della sua unicità.
La parola, che è il mondo, la comunicazione, la relazione, per Joana ha una natura affascinante ma labile, ormai corrotta e sempre più indecifrabile. È una parola che non si lascia leggere.
I libri vuoti, dalle parole mancanti, violentati, sono i libri di una generazione che non sa leggere, che non vuole leggere, che legge male? O sono i libri di un mondo troppo complesso per essere raccontato, troppo pieno per poter essere riassunto in pagine scritte?
Le pagine interrotte e silenziose, rappresentate nelle opere fotografiche e materiali di Joana, sono una forma di ribellione.
Ribellione, metaforica e paradossale, che si muove e si scatena per un inquieto e profondo bisogno: comprendere la realtà che, come un fiume in piena, “sfugge da me”, sfugge da voi, sfugge all’occhio moderno che rimane sempre incapace, per natura e limitatezza, di comprendere totalmente e di esprimersi compiutamente.
Joana non è la prima artista a riflettere sulla parola, la scrittura, la lettura e il suo senso poetico e limitante. Infatti, il desiderio di ricercarne una più adatta, libera, conforme e attuale ha radici nel passato.
Mi viene in mente il movimento futurista con il suo paroliberismo, ovvero la tecnica delle “parole in libertà”. Ma anche il grande Giuseppe Ungaretti: mosso anch’egli dal desiderio di ricercare la parola “nuda” ed essenziale, l’ha caricata di suggestioni, rendendola più capace di evocare concetti e immagini.
Ha cercato un linguaggio nuovo, assoluto, e lo ha fatto distaccandosi da tutte quelle limitazioni e schemi classici che intrappolavano e tenevano la parola troppo lontana dalla realtà. Lo ha saputo fare anche visivamente!
La parola ungarettiana, non a caso, emerge dal silenzio degli spazi bianchi della pagina. Sullo sfondo vi è una concezione irrazionale, quasi magica, della potenza rivelatrice della parola poetica:
«Quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso. (Commiato).»
Con questi pochi esempi (ma ce ne sarebbero di altri!) volevo farvi comprendere quanto, secondo me, il messaggio che affiora dell’esperimento poetico dell’artista brasiliana, seppur a primo impatto un po’ astruso, sia carico di sentimenti, inquietudini, bisogni che accompagnano l’animo umano sin dai tempi passati.
Il desiderio d’espressione e comprensione è insito nell’essere umano, e anche la difficoltà dell’esprimersi e del farsi comprendere pienamente.
Quando l’inchiostro non basta, c’è l’altra faccia dell’Arte: fatta di note, colori, scatti, piroette, odori, sapori.
Non è che questa l’Arte universale, quella che si lascia leggere naturalmente e che si esprime senza la “fatica” della parola.
PS: sono dell’artista Joana Corona le 4 foto pubblicate su questo articolo, esposte alla mostra insieme alle ultime 2 opere materiali.
Claudia Pezzimenti
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